Lettura del paesaggio (e piccioni!) – parte prima

allevamento piccioni

Viviamo immersi in un complesso sistema che è il frutto dell’alternarsi di azioni umane ed equilibri naturali: il paesaggio. Si può scegliere di trascorrere l’intera vita attraversandolo senza mai guardarlo realmente, oppure fermarsi un attimo e fare una attenta lettura del paesaggio. E in questo gli animali sono maestri…!

La lettura del paesaggio animale…

È una mattina d’estate a casa Acquagrande. Il sole è appena sorto da dietro la Rocca di Cefalù, inondando di luce la vallata del fiume San Leonardo. L’aria è fresca e i colori sono tenui. Nel paesaggio sonoro, composto da un tripudio di canti d’uccelli, si inserisce un rumore metallico e grattato. È la porticina automatica della nostra piccionaia, che si apre non appena il sensore rileva un minimo di luminosità ambientale. Compare un becco titubante, poi un altro e un altro ancora. Di colpo, come a un segnale convenuto, tutti i piccioni escono all’unisono, in un’esplosione di ali bianche, grigie e marroni. Si posano sul tetto, arruffati e intorpiditi dal sonno. Giusto il tempo di riscaldare un po’ le piume e poi lo stormo si alza in volo. Acquistano rapidamente quota, girando vorticosamente attorno alla casa.

La nostra piccionaia…

Vederli volare sopra il nostro progetto di Permacultura è una gioia per gli occhi, una spirale che si allarga ad ogni giro, in cerchi sempre più larghi. Osservano e valutano attentamente tutto quello che può procurargli una buona giornata di foraggiamento, spesso a chilometri di distanza da casa. Conducono una attenta lettura del paesaggio ogni mattina, con la tranquillità di chi legge le notizie quotidiane davanti a un caffè. La nuvolosità, la minaccia di pioggia, il vento principale. La crescita dell’erba nelle porzioni di prato tra un filare di alberi e l’altro, la presenza di nuove patches arate, che possono permettere loro di trovare facilmente semi di cui cibarsi, in questo complesso mosaico di uliveti, frutteti, pascoli e caseggiati.

“Biancospino”. Non è un piccione viaggiatore, non è un piccione da carne. Sa solo quello che non è.

Come un unico individuo, lo stormo compie queste evoluzioni ogni mattina, voli circolari attorno alla casa, una splendida visione di libertà sulla nostra vallata. Unito e dai movimenti fluidi, lo stormo è in realtà composto da esemplari che conosciamo dalla nascita, ad uno ad uno. La testa del gruppo è un maschio bianco col collo striato di rosso. Ha sangue di piccione viaggiatore nelle sue vene e due grosse caruncole sul becco, a testimonianza di ciò. Gestendo i voli circolari sopra casa nostra, al mattino presto, orienta i suoi magnetofori col campo magnetico terrestre e prende visione del paesaggio attorno la piccionaia, ripassando velocemente picchi, creste, corsi fluviali e caseggiati, chiari punti di riferimento in un territorio vastissimo.

Dopo un determinato numero di giri, è però un piccione selvatico a prendere la decisione finale sulla traiettoria per i viaggi di alimentazione. Arrivato nella nostra colonia per puro caso, trovato ancora implume da un mio alunno della scuola del bosco e allevato a mano, questo maschio di piccola taglia e dalla livrea grigia ancestrale fa affidamento solo al suo sesto senso, a questa forza misteriosa che gli permette sempre di atterrare nel posto giusto e tornare col gozzo pieno. Seguendo il suo istinto di animale selvaggio, si stacca dal gruppo prendendo una direzione precisa. Gli altri piccioni lo seguono, scomparendo gradualmente alla vista. Torneranno quando il sole sarà alto nel cielo, satolli e le zampette sporche di fango.

“Picciotto”, il nostro piccione selvatico

La capacità di lettura del paesaggio è, per tutte le specie, essenziale per assimilare informazioni indispensabili per la propria sopravvivenza. Un animale ha la necessità giornaliera di procurarsi il cibo, distribuito in maniera diversa a seconda del periodo dell’anno o anche delle ore del giorno, trovare un rifugio (anche momentaneo) alle intemperie o a un potenziale predatore, fuggire rapidamente, muoversi nel territorio seguendo le vie preferenziali di spostamento, trovare indicazioni utili per la propria sopravvivenza.

…e quella umana

La lettura del paesaggio è quindi prima di tutto una fonte di informazioni sul territorio che rappresenta, una lettura dello spazio circostante influenzata dalla nostra percezione, sia a livello di specie che di individuo. Esso può dirci molto del mondo attorno a noi. Solo conoscendo e interpretando correttamente i segni di un paesaggio siamo in grado di capire a fondo la storia di un territorio e di percepirne lo stato di salute, sia esso ambientale che all’origine di problemi sociali importanti.

Questo perché il paesaggio non è altro che un sistema complesso di ecosistemi in cui le parti strettamente naturali si integrano con le attività umane. Lo studio del paesaggio è quindi una delle rare interpretazioni ambientali che integra tutte le parti di un territorio, sia quella naturale che quella antropica, valutate di solito in maniera nettamente separata.

La lettura del paesaggio, così, ci indica spesso la storia del popolo che lo ha vissuto. Elementi quali canali di erosione, rocce affioranti, calanchi, prati aridi, indicano un uso sconsiderato del territorio, quasi minerario. Un prendere continuo senza mai dare. Così i paesaggi diventano tele graffiate, deturpate, senza vita e senza suoni.

Campagne nissene (CL). Qui il suolo è argilloso, compatto e poco profondo. La matrice rocciosa viene a galla, gli impluvi sono tutti in erosione. Pochi gli alberi e sparuti. Poche specie selvatiche, assenza di presenza umana nelle campagne.

Dev’esserci stato un tempo, che la mia generazione non ha vissuto, in cui le campagne erano vive. Piene di canti. Di bambini e dei loro giochi. Tutto al passo lento di un mulo. Adesso, in molte parti del nostro territorio, l’unica cosa che rimane sono le nostre ombre, che si allungano su una desolazione impressionante. Questo vuoto, dove non c’è un albero per chilometri, mette davvero angoscia. La maggior parte della gente vi si adatta. Non lo vede più e si ammazza di fatica per pochi soldi vissuti male. Molti scappano via, andando a ingrossare le fila dei sottopagati urbanizzati.

Forse però non tutto è perduto. A volte ci si imbatte in territori in cui la lettura del paesaggio e un piacere. Un mosaico di piccoli campi e pascoli, tutti circondati da siepi miste a creare un reticolo di corridoi ecologici notevoli. Piccoli appezzamenti di colture arboree (frutteti e uliveti) e parti a bosco. Variegato e ricchissimo. Ronzii di insetti impollinatori e un concerto dai cespuglieti in fiore. Merli, capinere, cuculi, sterpazzoline, usignoli. E ancora piante antichissime e di varietà spesso sconosciute. Peri, mandorli, prugni, un melo. Alcune con diversi secoli alle spalle e un tronco enorme.

Ci sono posti che sembra si siano salvati dall’industrializzazione e dalla meccanizzazione selvaggia. Non sarebbe semplice ritornare a un paesaggio del genere, dove i ritmi sono lenti e la lettura del paesaggio testimonia poco conflitto tra l’uomo e la natura? Forse quando questa folle corsa del progresso finirà, la naturalità delle nostre zone agricole ripartirà a macchia d’olio proprio da posti come questo, da valli sperdute e piccoli borghi in quota.

Il vostro caro Totò

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