Rivegetare – come ti progetto la Food Forest!

progettazione food forest

260 piante, ca. 600 mq, 15 corsisti, 16 mq di biomassa, 270 kg di guano di piccione…e 7 giorni di corso per creare una food forest. Questi sono i numeri di Rivegetare, un corso di agroforestazione che si è tenuto all’Ecomuseo Mare Memoria Viva (PA) grazie ai ragazzi dell’associazione CLAC.

Partiamo dalla fine. L’ultimo dei sette giorni di corso. Di quelli super intensivi, da 9 ore al giorno, in cui i partecipanti sono così entusiasti che ti chiedono di ridurre le pause e ti tartassano di domande fino a 2 minuti prima della chiusura di giornata. Una delle magie di questi corsi p che l’ultimo giorno in cui c’è da mettere a dimora una food forest, vengono sempre un sacco di amici. Dal mondo della Permacultura, naturalisti, curiosi, piccoli produttori agricoli, appassionati di agricoltura organica. E questa volta, grande motivo di orgoglio è stato illustrare lo schema di piantumazione, mentre orde di ragazzi/e piantumavano a manetta alle nostre spalle.

“Quando avete cominciato a mettere a dimora le piante?” mi domandano,
“ehm…. ieri mattina!!!” rispondo con un ghigno.
Nessuno riusciva a crederci. Guardando quei vialetti creati a regola d’arte, l’orda di canne messe a segnalare le giovani piantine, la quantità impressionante di biomassa al suolo. E poi le tane, le legnaie, le pietraie, le siepi di benjes.

Tutto ciò nasce da un intensissimo venerdì. La storia lo ricorderà come il venerdì di progettazione. Dopo numerose ore di introduzione ai principi di Permacultura, di giochi sull’ubicazione relativa, di analisi dell’elemento. Dopo aver studiato a fondo le piante, averne capito lo strato vegetazionale giusto, aver studiato le condizioni del suolo, solo allora posizionare le piante è stato relativamente semplice.
I partecipanti, divisi in due gruppi coadiuvanti e non concorrenti, hanno tirato fuori una passione e una capacità di lavorare in gruppo che, credetemi(!), mi ha investito in pieno. E quello che ne è uscito fuori è un piccolo capolavoro. Anzi due!

Tutto ciò derivava però, da una attenta analisi del territorio. Dal macro (studiare il paesaggio urbano nei dintorni) al micro (vedere che servizio ecologico rendevano le chiocciole nei micro-habitat). E in mezzo censimento al canto degli uccelli, utilizzo dei web-database, studio delle specie vegetali fin nelle loro caratteristiche più nascoste. Insomma, è stato un corso movimentato! Bello e movimentato!!!

Perchè abbiamo fatto tutto ciò?
Semplice. Nel mondo in cui viviamo, dominato dal virtuale, esiste una reale povertà di azioni concrete, pressoché disarmante. E con “concrete” intendo “reali”. Scarseggiano le iniziative serie che mobilitano tanta gente e abbondano invece le critiche e i giudizi negativi ai governi e alle istituzioni.
Fare una food forest non significa solo mettere le piante giuste. E’ una questione di responsabilità. Compresa e condivisa. E’ un modo di invertire la rotta. In piccolo, è come cambiare il mondo e l’attuale andazzo negativo.


Sopratutto, combatte la desertificazione culturale.
Quest’ultima rappresenta un processo che diminuisce il “sapere collettivo”. La mancanza di forti legami sociali e la disgregazione di vere comunità umane, soprattutto nei grossi centri urbani, diminuisce il trapasso di nozioni che avviene tra individui, elemento alla base dell’evoluzione culturale.
Così nel giro di due generazioni, nell’epoca del benessere diffuso, abbiamo perso una grossa fetta di saperi utili alla cura del territorio. Ad oggi è raro trovare qualcuno che sappia innestare, che riconosca gli uccelli al canto e le erbe spontanee in un prato, che conservi sementi locali adattate al microclima siciliano.

Insomma, in sette giorni un pezzettino di mondo è migliorare. E, nelle mani di 15 persone, è apparsa la possibilità di generare azioni positive. In maniera semplice e divertendosi.

Il vostro caro Totò

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