Solstizio d’estate: cosa è che mi dona energia?

solstizio d'estate

Oggi, 21 Giugno 2021, è il primo giorno d’estate!
Questa notte è stata la più breve dell’anno e l’energia solare si è espressa al massimo con una durata del giorno di ben 15 ore e 16 minuti. Pensate, su un totale di 24 ore è tantissimo!
La primavera è stata esplosiva come ogni anno. Piante e animali tese fino allo spasimo nel tentativo di proliferare, partorire, fiorire, fruttificare, allevare piccoli. Tutte queste ore di luce stimolano anche il nostro organismo. Il periodo attorno al solstizio d’estate è un momento potente per esprimere sé stessi. Oltre ad essere idoneo per aprirsi alla luce e alla vitalità della Natura, il solstizio estivo è un momento di massima energia, di azione. Intenzione e motivazione espresse al massimo.


Ammetto anche che è un passaggio di flusso che io aspetto con gioia. La primavera è bellissima, ma anche stancante. I miei animali prolificano, ci sono orti da sistemare, le erbe spontanee, la chiusura dell’anno scolastico. D’ora in poi le ore di luce diminuiranno, un minuto per volta, fino a portarci ad un livello d’energia più basso. Quest’anno ho destinato questo appuntamento alla riflessione. Solstizio d’estate: cosa è che mi dona energia? Animali, piante, persone…

Energia e Animali

Il merlo che cantava a squarciagola dal Pyracantha in giardino. Avevamo piantumato quella siepe proprio davanti la futura cameretta di nostro figlio. Speravamo avesse un concerto di uccellini tutto suo, in piena città. Poi il figlio arrivò davvero, e il merlo cominciò a cantare, nel primo marzo della sua vita.

orto botanico biodiversità

La coppia di falchi grillai che aveva deciso di nidificare in una cassetta nido ottimamente posizionata, ma con dei vicini scomodi. Un metro sopra loro, infatti, vi era un’altra cassetta con una coppia di ghiandaie marine. I poveri grillai non avevano un momento di pace. Dovevano entrare e uscire rapidamente dal buco della cassetta, per evitare i vicini, agguerritissimi e determinati nello scacciarli. Alla fine, il maschio prese una beccata letale in testa e morì. Lo scoprimmo proprio il giorno del solstizio d’estate, durante una visita di routine. Il suo corpo era esamine, dentro la cassetta nido. Poco importa, la femmina si era già trovata un altro maschio e aveva deposto cinque uova. La trovammo intenta a covare, sul corpo appiattito del suo defunto marito.
Mai arrendersi!

Il geco verrucoso che rimase schiacciato nello stipite della porta. Controllavo sempre accuratamente prima di aprire e chiudere, ma lui non lo avevo proprio visto. Quando lo raccolsi era in gravi condizioni, con una grossa ferita al fianco destro. Si vedevano gli organi interni. Con la morte nel cuore lo deposi in un buco del muro, sperando in una fine rapida. Invece sopravvisse! Lo catturammo anni dopo, in uno studio di campionamento notturno fatto a casa Acquagrande, vivo e vegeto. La ferita si era chiusa da sola. Fu d’obbligo ribattezzarlo “il Visconte dimezzato”. Da quell’anno lo incontrammo altre tre volte, l’ultima delle quali in accoppiamento con una femmina.

herping

Solstizio e Piante.

Quella volta che trovai un’orchidea, Ophrys oxyrrhyncos, praticamente dietro casa. L’avevo cercata per anni. Quel giorno mi stavo recando in un uliveto abbandonato adiacente a casa mia. Avevo bisogno di un attimo di respiro. Ogni anno il tempo da dedicare a me stesso era sempre meno.
E Incredibilmente, lei era là, mi aspettava al bordo del sentiero.
In dieci anni non l’avevo mai vista e ora se ne stava tutta impettita di fronte a me, in una zona battuta centinaia di volte. Presi il taccuino e sotto la data e il nome della specie scrissi soltanto “Bella. Veramente bella”.

La sughera più grande del bosco della Ficuzza, a pochi passi da uno dei sentieri più battuti della Sicilia. Un esemplare pluricentenario, solitario nella sua radura in mezzo al bosco. Ci guidai la mia prima escursione, di famiglie con bimbi piccoli. Spontaneamente, arrivati là, tutti andarono ad abbracciare quell’enorme patriarca silenzioso. Da allora, ogni volta che medito o compio esercizi di visualizzazione, la mia mente se ne va là, ad ascoltare il vento tra i suoi rami.

patriarca albero

Quei tre Eucalitti nella piana di Gela, che ospitavano una enorme colonia di passeri, con decine di nidi globulari abilmente intrecciati tra le fronde. Quando il vento ne agitava le chiome, tra il cicaleccio degli uccelli, la terra rossa e quel mare smisurato, ti sentivi in Africa!

La zinnia che svettava in mezzo ai pomodori, coi suoi petali di un fucsia fastidioso e i fiorellini ligulati disposti in cerchio a guardare verso il sole. Nessuno l’aveva piantata là. Era spuntata e basta, una nota di colore che stonava terribilmente col resto. Eppure, un giorno, mentre le stavo leggendo accanto, un’ape vi si posò sopra. Sembrava esausta. Infilò la sua cannuccia nel primo fiorellino e ne attinse il nettare. Poi passò al successivo. E al successivo. E al successivo. In breve, il giro si concluse. Ma invece di volare via, ricominciò daccapo, più veloce, completando il giro sempre più rapidamente. Lo fece innumerevoli volte, prima di volare via.
Scrissi al margine della pagina che stavo leggendo: <<La saggezza della vita in natura ha la forma della circonferenza e il sapore dell’indifferenza, di una monotonia estrema. La ciclicità delle stagioni.  Nascita e morte. Un unico interminabile ciclo>>.

Solstizio. Energia. Persone.

La spazzina che puliva il marciapiede davanti casa mia, alle 7 di un sabato mattina, ascoltando “La danza delle ore” dal cellulare e godendosela nella solitudine più totale di una città ancora addormentata.

L’amico che aveva preso una casetta in uno dei paesi più sperduti e spopolati della Sicilia. E in quella casa, magiche connessioni venivano ricreate coi suoi luoghi di origine. Quel minuscolo posto perfetto profumava di essenza selvatiche e odorava di pane fatto in casa. Mazzi di erbe stavano a seccare immobili sopra le nostre teste. Elisir, oleoliti, tisane e il vento delle Madonie che entrava dalle finestre. Era appena nato il mio primo figlio e me ne andai da lì con il cuore pieno di speranza. E con un sacco di farina di grani antichi!

grani moderni

La vecchia signora di una antica casata nobiliare che appuntava sui muri del suo sfarzoso salotto le date d’arrivo delle rondini, le sue rondini che nidificavano sotto i balconi del palazzo nobiliare di famiglia. Una sfilza di giorni, mesi ed anni si era accumulata nel tempo, su quel muro scarabocchiato.
E quando la signora morì, mentre tutti la piangevano chiusa in una bara, una rondine entrò nella camera mortuaria. Attraversò più volte la stanza, garrendo gioiosa e poi se ne andò via, veloce come era arrivata. Un messaggio chiaro. Rallegratevi!

Il vecchio zio pastore appassionato di opera lirica. Alla sera, tornato dal lavoro, metteva pezzi di Verdi o di Rossini nel suo giradischi. Nel silenzio assoluto, quelle note si riversavano giù dal suo balcone per le stradine del borgo. La gente alzava il volto verso quella musica e scopriva che il cielo era pieno di rondoni e balestrucci, che danzavano nell’aria tornando ai loro nidi.

I miei conterranei neolitici che, nella Sicilia agricola settentrionale, con uno sforzo che per l’epoca doveva essere immane, forarono un enorme blocco di calcarenite. Crearono un calendario solare perfettamente orientato, di modo che all’alba del solstizio d’estate il primo raggio di luce attraversasse il cerchio.
Quella roccia è rimasta là, immobile in un tempo e in luogo attraversato da Sicani, Fenici, Greci, Romani e decine di altri popoli mediterranei. Fino a perdere il suo significato primigenio, cancellato dall’oblio del tempo. Poi durante un censimento ornitologico, io ebbi la fortuna di passarci sotto…

solstizio energia

E voi? Cosa vi dà energia?
Il vostro caro Totò…

Lascia un commento