Stavo per cominciare l’articolo con un clamoroso errore di linea temporale. Stavo per dire, infatti, che questa storia comincia ad aprile 2020, da uno dei semi più piccoli che io abbia mai visto. Di un rosso così carico da apparire quasi nero, se osservato sotto una fonte luminosa diretta. Grande appena un millimetro e facilissimo da perdere. Era questo quello che pensavo mentre riempivo il suo provino di terra fertile e speravo che il vento non lo strappasse via dal palmo della mia mano. E invece c’era giù un errore.
Sì, perché questa storia comincia che è ancora inverno. Comincia così la bellissima storia dell’Amaranthus a casa Acquagrande, che vado a trovare il mio amico Matthieu a casa sua.

La casa di Matthieu è un ambiente in penombra. Dal di fuori vedi solo il suo sorriso accogliente. Una di quelle case in cui quando entri cominci a vibrare sulla stessa frequenza del proprietario. Avete presente quei luoghi con un livello di energia medio? Una luce tenue, gatti che ronfano sulle sedie, cose interessanti ovunque ma che si fatica a notare, tanto l’ambiente è armonico e avvolgente. Matthieu mi accoglie nel cuore più intimo di casa sua, quello dove ci stanno i tesori nascosti dell’infanzia. Nel suo caso sono i semi!
Tira fuori un barattolo con aria solenne. Dentro c’è un pezzo di spiga, rossissima, con un’indicibile quantità di semi minuscoli e dal bel colore intenso. –Me l’ha data un permacultore che conosci, ma i semi originariamente vengono da Cuba! Da te dovrebbe svilupparsi bene– dice, affidandomi il vasetto con un gesto solenne.

Sapete che faccio quando devo affrontare qualcosa di nuovo? Studio!
Scopro così che il genere Amarantus è cosmopolita, mentre io pensavo fosse soltanto relegato al centro America. Che la maggior parte delle sue specie sono annuali, ma se ne fregano della brevità della vita e investono in quei pochi mesi una quantità indicibile di energia e di flussi linfatici, svettando sopra tutte le altre piante e arrivando fino a tre metri di altezza. Che si consumano sia i semi che le foglie fresche e che la pianta è considerata un super-food per il suo alto contenuto proteico e di lisina. Per il resto, vanno bene terreno ricco e soleggiato e discrete quantità d’acqua. Perfetto, dovrei farcela.
E invece comincia che è un disastro. Del centinaio di semi messi a spaglio nei provini ne sopravvivono solo due. Di questi, uno solo resiste al trapianto. Pazienza, mi avevano già avvertito dello sterminio del primo anno. Questa pianticella però cresce con una vigoria inaspettata e dopo 30 giorni è già alta quasi un metro. Amici del web mi confermano che è una pianta di Amarantus. Ma che specie? Boh!

Passa la bella stagione e vedere questo Amarantus all’inizio dell’orto, dritto e florido in mezzo alle altre piante, è una vera gioia! Vengo però assalito dai dubbi. Riuscirà ad andare a seme? Come farà ad impollinarsi se è l’unica pianta della sua specie nel raggio di decine di chilometri? E se fosse troppo in ombra? Nel frattempo lui se ne frega. Noi umani dobbiamo tenerci impegnati per un numero esorbitante di decenni e perdere tempo a rimuginare sulle cose è quasi una necesità. Lui di tempo non ne ha. Gli è concesso solo un semestre. E quindi cresce, cresce, CRESCE!

All’inizio dell’autunno si decide e vira al rosso nel giro di una settimana. Le belle foglie dalla lamina espansa diventano scarlatte e cominciano a spuntate spighe da ogni dove. Riesco a determinare la pianta, è un Amarantus cruentus (col beneficio del dubbio, eh!). In barba a tutte le mie preoccupazioni si auto-impollina egregiamente e mette su delle spighe davvero notevoli, di un intenso colore scarlatto.


E adesso, a fine novembre, abbiamo appena fatto la raccolta. In due trance, perché alcune spighe erano ancora in fioritura. E prima della completa maturazione dei semi, perché poi cadono con una facilità estrema. Ne abbiamo ricavato circa 1,8 kg di foglie e più di un chilo di semi. Ricordando da cosa siamo partiti, tutto ciò ha dell’incredibile.

Ospitare un amaranto a casa Acquagrande è stata un’esperienza quasi introspettiva. Ogni volta che mi sentivo scoraggiato, con le energie esaurite, lo sguardo cadeva sul vialetto. Su quell’Amaranthus che svettava a casa Acquagrande, in barba all’esiguità del tempo che gli è concesso sulla Terra. Ne ammiravo la base del tronco grossa come un braccio, le radici che affondavano prepotentemente nella terra e ne traevano fertilità per i suoi milioni di semi. La sua corsa per fiorire prima dell’inverno e non rendere vano tutto quel lavoro. La minuziosa perfezione dei suoi semi microscopici, un monito su quanto ci si possa affidare all’esiguo e al piccolo, pur di avere speranze per il futuro.

Insomma, è stata una bella storia d’amore (color amaranto!)
Il vostro caro Totò

Salvatore Bondì
Naturalista, specializzato in Biodiversità ed Evoluzione.
Ornitologo. Permacultore. Bighellone per necessità.
Salve. Mi scusi ma so per certo che l’ amaranto esisteva in Italia in epoca romana. Sa dirmi come era il nostro, quello italiano? Grazie
Ciao! Si tratta di specie diverse da quella dell’articolo, che invece è di origine americana. Amaranthus è in realtà di etimologia greca ma è possibile fosse riferito a piante diverse (le Amaranthaceae sfiorano le 2500 specie, tra cui c’è anche la bietola, per intenderci). E’ anche possibile che già nell’antichità alcune piante del genere Amaranthus di origine asiatica fossero arrivate nel Mediterraneo in seguito a scambi commerciali!
Insomma, è un bel mistero…!
È apprezzato dalle api?
No, questa famiglia ha esclusivamente impollinazione anemofila (vento) o autoimpollinazione