Casa Acquagrande sta diventando un bellissimo luogo di transito umano e Permacultura. Ieri poi abbiamo ricevuto una visita speciale. Avete presente l’amico di sempre? Quello che per voi è come un fratello, con cui avete fatto le cose più impensabili, quello che ogni volta che vi incontrate è come se non vi foste mai lasciati, anche se sono passati mesi? Ecco, proprio lui.
Fulvio (così si chiama l’amico) mi ha aiutato con le semine invernali. Abbiamo trovato della terra smossa dall’operosità notturna dei ricci ed il tutto è durato pochi minuti. E mentre lui riempiva i contenitori con una palettina, ho sorriso soddisfatto. Perché è bastato ri-abbracciare un amico, riciclare dei bicchieri di carta dall’ultima festa di compleanno e ospitare dei ricci, che tutto il lavoro si è condensato in un attimo, senza dispendio di energie. Come se lo avessimo progettato…

La Permacultura è un metodo di progettazione e come forma “primaria” assume l’elemento. Qualsiasi cosa posizioniamo in un sistema, temporaneamente o in maniera permanente, in un posto piuttosto che un altro, è un elemento. Piante, animali, strutture, relazioni, tutto è assimilabile al concetto di elemento. Ogni elemento ha delle caratteristiche che lo rendono unico: bisogni, prodotto e fattori intrinseci.
I bisogni sono tutto ciò di cui quell’elemento necessità per vivere BENE, crescere o perdurare, moltiplicarsi, assolvere alle proprie funzioni vitali o umane. Prendiamo per esempio una capra. Una capra ha bisogno di acqua, cibo e di un riparo. Quanta acqua beve una capra al giorno? Il suo fabbisogno idrico è uguale durante tutto il corso dell’anno? E il cibo? Quanti kg al giorno, quanta percentuale di cibo proteico, quali piante può/non può mangiare? Meglio un riparo in legno o uno in terra battuta per evitare parassiti?
Più riusciamo a scendere nel dettaglio, più assicuriamo al nostro elemento una vita facile e prospera, che torna a noi in termini di “rendimento” (lo spiegheremo meglio dopo, già vedo gli animalisti soffiare tipo gatti inca##ati…!).

(rigorosamente di carta!!!)
Una capra ha anche dei fattori intrinseci: il sesso, l’età, la razza, il carattere, la biologia e la fisiologia della propria specie. Meglio un maschio o una femmina? I maschi hanno un odore davvero forte e possono essere prepotenti. Di contro le femmine se non si accoppiano vanno in calore continuamente da agosto a marzo e per loro è davvero sfiancante. Alcune razze sono molto alte sulle zampe e data la loro agilità sono maestre della fuga, altre invece sono nane e basta una buona recinzione (anche se poi passano da buchi minuscoli, ahimè…!). Le capre inoltre cambia completamente il proprio metabolismo se in lattazione o in asciutta. Sono tutte cose da considerare per una buona progettazione in Permacultura.
Per ultimo arrivano i prodotti. Ogni elemento, se soddisfa i propri bisogni nel rispetto dei propri fattori intrinseci, restituisce dei prodotti. Che prodotti restituisce una capra? Alcuni sono abbastanza scontati e sono quelli che si tirano fuori in una visione poco elastica (e direi quasi capitalistica): latte, carne, capretti. Sono prodotti facilmente individuabili perché li viviamo nel quotidiano e in maniera “cumulativa”. In realtà basta spremere un po’ le meningi e di prodotti ne vengono fuori tantissimi, anche molto più rispettosi nei confronti dell’animale: le capre sono brucatrici specializzate in fogliame, quindi sono ottime de-cespugliatrici nelle zone 4 e 5, tengono a bada i rovi e le essenze selvatiche, oltre a contenere l’erba nelle altre zone. Sviluppano calore e il loro ricovero può essere addossato in inverno ad una serra, un semenzaio o una nursery. Il letame può essere compostato e lasciato a maturare, o semplicemente lasciato al suolo dove apporta sostanza nutritiva. Possono trasformare potature, avanzi dell’orto o della cucina, sfalcio d’erba. Dato il loro carattere curioso e giocoso possono essere animali da “pet-therapy” o essere coinvolte in progetti di educazione all’aperto, inclusione sociale, avviamento al lavoro. Possono anche mantenere puliti bordi stradali o aree di difficile accesso. E tanto, tanto altro….!!!
La cosa bella della progettazione in permacultura è che il permacultore crea sistemi funzionali in cui ogni prodotto va a soddisfare i bisogni di un altro elemento. Con il patto silente che ogni elemento generi prodotti per i bisogni di almeno altri tre. Così, con le giuste precauzioni, una capra può diserbare un frutteto, tenere sgombra una recinzione, fertilizzare un orto. Tutto ciò che non riusciamo a ri-utilizzare come prodotto è inquinamento. E’ un campanello d’allarme, stiamo progettando male.
Con questa nuova visione di un sistema, capite bene che cambia tutto!

Quello che da subito mi sono chiesto è… si può applicare tutto ciò alla vita selvatica? Piante e animali, che non vengono posizionati da noi permacultori, possono entrare in un sistema di progettazione che soddisfi i loro bisogni (sarebbe bellissimo!) e gioisca dei loro prodotti?
La risposta non è sì.
E’ SI’ ECCOME!!! Ma con un pizzico di lavoro mentale in più.
Con le piante è tutto molto più semplice, ma gli animali selvatici potrebbero darci del filo da torcere. Non essendo legati a noi, vengono a frequentare i nostri sistemi in permacultura quando e come vogliono, spesso mandando in aria il nostro operato per soddisfare i loro bisogni in completa autonomia. Chi tra noi è abituato a gestire animali si confronta con specie domestiche, plasmate e modificate dall’uomo per renderle facili da gestire. Ma come si fa a inserire in un sistema funzionale un animale selvatico completamente libero e autosufficiente? Semplice… bisogna sforzarsi di pensare come lui. Chissà cosa ci riserva la fauna selvatica, con tutte le connessioni ecologiche che ha all’interno di un ecosistema…?!!?

L’esempio che faccio è proprio quello del riccio. In particolare, quelli di casa Acquagrande, che con Luisa abbiamo salvato da una brutta fine su una stradella interpoderale e rilasciato nel nostro sistema. Di cosa ha bisogno un riccio? Terreno soffice per scavare e trovare le sue prede, un bel rifugio per passare l’inverno. Ma anche una fonte d’acqua che non rappresenti un pericolo (i ricci affogano facilmente anche in due dita d’acqua, se non è facile uscire), la sicurezza di non finire nelle fauci di un cane , la lontananza da strade a scorrimento veloce, la possibilità di non rimanere confinato nelle nostre proprietà (bastano piccole aperture di un decimetro alla base delle recinzioni, utili anche per rospi, mustelidi, uccelli terricoli, ecc..) perché malgrado i nostri sforzi non possiamo assicurargli tutto quello di cui avrà bisogno. Anche la possibilità di rimanere nella rete trofica del luogo, in maniera da fornire cibo ed energia ai suoi naturali predatori.
Cosa ci ridà un riccio? Se non progettiamo bene…un sacco di disastri!
I primi tempi infatti, trovavo dei crateri enormi nell’orto, spesso anche con le giovani piantine sdradicate. Passata l’incavolatura iniziale, ho dato ascolto a Holgrem (“applica l’autoregolazione e accetta il feedback”) e ho semplicemente aspettato. Nutrendosi di invertebrati, una volta ripulito l’orto dalle limacce che vivevano sotto la pacciamatura, il riccio si è rivolto ad altre zone e io non ho avuto più attacchi alle piante a foglia larga. Un orto perfetto e un lavoro praticamente gratuito.
Con la sua dieta specializzata in invertebrati, riesce a fare fuori un enorme numero di insetti e molluschi nocivi, dando un concreto aiuto alla lotta biologica. uto infallibile.!

I ricci inoltre possono essere un ottimo campanello d’allarme per pericolosi parassiti (se ci sono zecche o pulci, i ricci sono i primi a prenderseli). Occupano legnaie e luoghi tranquilli per trascorrere l’inverno, entrando in competizione coi ratti, facendoli sloggiare nella maggior parte dei casi. Per finire, la loro continua azione di ricerca di cibo (piccoli bulbi, insetti e molluschi nocivi) nei primi centimetri di suolo li rende ottimi “frantuma-zolle”. Con le loro opere di scavo sminuzzano i terreni in piccole particelle, aumentandone l’ossigenazione e la capacità di legarsi alla sostanza organica.
Ah, e approfitta anche del surplus di frutta che cade dagli alberi. Per ora infatti si mettono davvero d’impegno per ripulire il piazzale dai fichi maturi che si spiaccicano a terra.
W la fauna selvatica!
(e la Permacultura!)
Il vostro caro Totò

Salvatore Bondì
Naturalista, specializzato in Biodiversità ed Evoluzione.
Ornitologo. Permacultore. Bighellone per necessità.