Dai grani antichi ai moderni. Che cosa abbiamo perso?

grani antichi moderni

Questo articolo nasce da una scoperta del tutto casuale fatta nella mia libreria casalinga. Stavo sfogliando il “Panphyton siculum“, un catalogo illustrato in tre tomi, sulla fauna e la flora della Sicilia del 1600, ad opera di Francesco Cupani, monaco francescano originario di Mirto (ME).
La mia attenzione è stata catturata da una tavola su cui erano ritratte diverse spighe di grano, con la seguente descrizione: “Triticum medium spica longona rufa barba magna nigricente. Cicireddu niuru o masculu“. La precisione e l’accuratezza dei disegni, unita alle descrizioni in latino intessuto di parole schiettamente siciliane ne faceva un capolavoro delle Scienze Naturali. Era la palese descrizione di un grano antico. Probabilmente il Russello, che ancora oggi si coltiva. Ho così cominciato a cercare in tutti e tre i tomi se vi fossero altre raffigurazioni di spighe ed in effetti ne ho trovate altre due. Stavolta, oltre alla descrizione vi era anche il nome dialettale, il “vulgo“. Alcuni ancora oggi conosciuti ed usati: Tuminnia, Mascaredda, Cuccuffa, Maiorca. Era insomma uno spaccato dell’agricoltura del ‘600 che tenevo in mano, a 4 secoli di distanza. Dai grani antichi ai moderni. Che cosa abbiamo perso?

Francesco Cupani – Panphyton siculum (tomo 1)

La prima cosa che abbiamo perso, è una dicitura chiara per definire queste cultivar di grano, presenti per lo più nel meridione italiano. Li chiamiamo grani antichi, ma alcuni non sono antichi per niente. Basti pensare che il brevetto del grano Senatore Cappelli è stato rilasciato agli inizi del ‘900. “Grani antichi” è però un’ottima trovata commerciale, per rendere allettante tutto un insieme di ecotipi locali coltivati in poche vallate del Meridione, o al massimo in una regione.

La seconda cosa che abbiamo perso con la scomparsa dei grani antichi è un enorme patrimonio di biodiversità agricola. Delle 290 cultivar di grano italiane, oggi ne sono rimaste pochissime, quasi nessuna ha la possibilità di essere commercializzata fuori dall’ambito regionale e la maggior parte della produzione nazionale si affida a pochissime varietà di grani moderni. Basti pensare che la metà del grano prodotto in Sicilia deriva da un’unica cultivar, rilasciata pochi decenni fà.

La terza cosa che abbiamo perso è la biodiversità degli agroecosistemi e questa è, secondo me, la cosa peggiore che poteva capitare. Tutte le cultivar moderne di grano sono infatti selezionate per avere una resa massima, quasi doppia rispetto a quella dei grani antichi, ed un’altezza esigua. I grani moderni infatti sono alti poche decine di centimetri, a dispetto dei grani del secolo scorso, che arrivavano anche ai 2 m. I fusti corti sono stati selezionati per una migliore gestione delle asperità climatiche, sopratutto del vento, e facilitano il processo di meccanizzazione agricola al momento della mietitura. Questo però innesca un’enorme problema! Una pianta di 1,6 metri ha pochissime competitrici in un campo di erbacee. Il grano moderno invece, così basso, non riesce a sovrastare le piante spontanee dei campi, che tendono ad ombreggiarlo e soffocarlo. Questo comporta un uso davvero massiccio di diserbanti che azzerano la presenza di erbe spontanee. Ma che massacrano anche la fertilità del suolo, già impoverita dai pesanti lavori di aratura.

tumminia grano antico
Tumminia, antica cultivar di grano siciliana. Raggiungeva un’altezza variabile da 16, a 1,8 m. Foto tratta da “La gazzeta nissena

La coltivazione del grano moderno è accompagnata da una vera e propria pioggia di veleni che vengono continuamente irrorati sul terreno agricolo. Basti pensare che si utilizzano in media da 0,75 a 1,5 L di diserbante per ettaro , seguiti poi da concimi chimici nell’ordine di 1 – 3 kg per ettaro (trovate info qui, qui e qui) per dare una botta di vita alle pianticelle di grano dopo il passaggio dei biocidi.
Facendo due calcoli, considerando che in Sicilia la superficie investita a grano duro è di 291.000 ettari (dati OESAAS), considerandone anche solo la metà gestiti ad agricoltura industriale (siamo buoni, eh!!!), significa che sul territorio regionale vengono sversati AL MINIMO dalle 97 alle 193 tonnellate di diserbante e dalle 129 alle 387 tonnellate di concimi chimici all’anno!!!. Immaginate quante di queste vengono assorbite dal grano che trattiamo e mangiamo, quante arrivano nelle falde acquifere, quante arrivano in mare, quante vengono ingerite dalla fauna selvatica. Non è un caso se tutte le specie di avifauna a rischio in Sicilia sono legate agli agroecosistemi, in particolare al settore cerealicolo!

Immagine tratta da Marsica Live

La quarta ed ultima cosa che abbiamo perso, con la scomparsa dei grani antichi, è sottile e poco investigata. E’ il nostro collegamento alla spiritualità. Alle tradizioni millenarie che il Mediterraneo ha sviluppato, passate per osmosi di popolo in popolo a creare un’unica indentità legata ai cicli delle stagioni e alla cultura contadina.

La tumenia è un bellissimo dono di Cerere, una specie di grano estivo che matura in tre mesi. 

Viaggio in Sicilia – W. Goethe

Nel seme del grano, destinato a finire sotto terra e morire, per poi vegetare con la stagione propizia e donare abbondanza, i popoli mediterranei hanno impersonificato più di una divinità femminea bella, imperterrita e dedita al sacrificio. Cibele, Kerres o Cerere o Demeter, Kore, tre generazioni di divinità dai confini poco chiari, donne che si fondono una nell’altra e che trovano analogie tra popoli vicini che condividevano tra loro la propria spiritualità, a braccetto con la cultura del grano. Tutte derivano dalla radice pre-indoeuropea <<ker>> (crescere). Come può non destare stupore la irrefrenabile spinta alla crescita del grano seminato che fa capolino dopo mesi e mesi di apparente morte della terra, quando l’attesa sembra lunga e interminabile? Tutto ciò ha creato misteri e segreti tramandati per generazioni. A questo è dovuto il mito del ratto di Kore, che avviene proprio in Sicilia sulle sponde del lago di Pergusa. Trascinata agli inferi da Ade, cercata per mesi dalla madre Demetra, divinità presente praticamente in tutti i popoli mediterranei sotto varie forme, ritornerà in superficie grazie alla tenacia materna, ma solo per 6 mesi l’anno. Giusto per concludere il ciclo del grano!

grotticelle gela
Località Grotticelle, Gela (Cl). In mezzo ai campi di grano, una pietra forata viene trapassata dal sole all’alba di ogni solstizio d’estate. Un luogo di immensa spritualità!

Che fine hanno fatto i cicli naturali che veneravamo e di cui facciamo parte? Quando ne siamo usciti senza nemmeno accorgercene?
In Sicilia il culto di Demetra e Kore non si è assopito dopo l’avvento del cristianesimo. E’ rimasto latente, fino a quando i grani antichi hanno continuato ciclicamente a immolarsi sottoterra e generare abbondanza estiva. E’ rimasto nella filigrana di mille festività legate al grano, sopratutto tra Catania ed Enna, dove molti posti portano ancora i nomi delle divinità agresti che hanno steso la loro mano benevola per secoli sui campi siciliani. C’è chi dice che si sia solo un po trasformato. La risoluta Cerere, bella donna dai lunghi capelli e col bastone del viandante, potrebbe essersi trasformata in Maria Maddalena, in giro per l’Europa a professare un nuovo credo.

grani moderni
Grani moderni nella Sicilia meridionale

Che cosa abbiamo perso?
Tanto. Ma non tutto è perso per sempre. Siamo ancora in tempo per guardarci alle spalle e chiederci se davvero il progresso ci ha reso più umani e civili. Tutto quello che abbiamo guadagnato ha richiesto un enorme costo in termini ambientali, culturali e spirituali.
Forse è ora di ri-seminare futuro!

Il vostro caro Totò

Per maggiori info:

Libri sui grani antichi
I grani antichi siciliani

I cereali. Proprietà, usi e virtù
I frumenti siciliani

Blog- il custode dei semi antichi
Blog – Simenza.it
(con la mappa dei grani antichi siciliani)

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