Amore mio,
lo sai qual è la cosa più bella di questa avventura che stiamo iniziando? Che non mi hai mai chiesto niente. Non mi hai mai chiesto perché tornavo a casa nervoso ed irritabile. Né come mai da un momento all’altro il mondo ha ricominciato a sorridere. Non lo hai mai chiesto in maniera verbale, né coi tuoi sguardi di domanda, quelli difficili da far scivolare via in silenzio. Hai accettato tutto con una naturalezza che non mi aspettavo, che ha reso tutto più semplice e mi ha fatto capire che forse non era una idea così malvagia. Però sento la necessità di spiegartela lo stesso, questa decisione su cui ho puntato i piedi.
Amore mio, è stata colpa di un albero.
L’ho visto una delle prime mattine in cui avevo cominciato il nuovo lavoro, quello cominciato con l’entusiasmo di un’avventura e che invece si era rivelato un fallimento già dopo poche settimane. Si andava ad accodare a tutta una serie di evidenze che pressavano sempre di più sul mio buonumore e sulla mia autorealizzazione. Nonostante facessi il lavoro più bello del mondo, il Naturalista, le cose cominciavano a puzzare di guasto. In dieci anni di lavoro universitario, procacciando fondi a destra e a manca, eravamo riusciti a mettere in piedi un gruppo di Conservazione della Natura che macinava successi. Un lavoro bello, che ci rendeva selvaggi e adrenalinici. Ma nonostante tutti i nostri sforzi, le specie che proteggevamo venivano costantemente uccise per cause umane. Anche il lavoro da guida naturalistica non andava un granché. Nell’ultimo decennio il trekking si era trasformato in un fenomeno di massa e mi ritrovavo ad accompagnare gente sempre più insoddisfatta, su sentieri sempre più sporchi e sgualciti dall’uso eccessivo. Le lamentele di chi voleva vivere una avventura addomesticata in Natura cominciavano a essere fin troppo frequenti.
Per ultimo, nemmeno a casa andava bene. C’erano evidenze di un andazzo globale negativo perfino nel giardino di casa. In dieci anni si era azzerato il numero di grosse falene che venivano a trovarci. Quando eravamo bambini le auto si riempivano di insetti sul parabrezza. Dove erano finiti tutti?!!?

Mi ero accorto di tutte queste cose solo per via del nuovo lavoro.
È impossibile infatti, giudicare un sistema se vi si trova all’interno.
Dovevo viaggiare per tre ore e quaranta minuti al giorno, per raggiungere la mia sede, e questo mi consentiva molto tempo per riflettere. La situazione iniziale in questo nuovo centro era graziosa, ma ben presto era venuta a galla l’essenza di quel luogo: la competizione. La legge non scritta che vige tra i ricercatori, “publish or perish” mette costantemente tutti contro tutti. Non puoi fare un passo senza pestare i piedi a qualcuno. Velate intimidazioni, ritualità gerarchiche e veri e propri cazziatoni erano all’ordine del giorno. Io ero là per FARE, per compiere azioni reali e che diffondessero una coscienza ecologica. Ma per mettere in pratica le mie idee dovevo rimanere in un precario equilibrio in cui non emergevo rispetto agli altri ne passavo per un nullafacente. Insostenibile.
E poi un giorno l’ho visto!
Su una collina di Gallitello, nel pieno centro agricolo della Sicilia, c’erano vigneti e campi di grano ancora verdissimi di primavera. E sulla cima, illuminato dal primo raggio di sole del mattino, c’era un albero solitario. Bellissimo. Nella sua immobilità emanava pace, con la sua grande chioma ad ombrello e la sua posizione di rilievo. Se ne stava lì, a dominare tutta una valle in cui non c’era una casa, né una macchina. Come doveva essere bello stendersi ai suoi piedi, poggiare la schiena sul tronco e godersi la vista per tutto il resto della giornata.

Ogni mattina pensavo: -Oggi non vado al lavoro, esco al primo svincolo, arrivo ai piedi della collinetta e vado a vederlo-. Ma non lo facevo mai. Rimandavo sempre al giorno dopo, convinto che sarei rimasto per sempre là sotto a maledire questa società miope e ottusa. Ad oggi non so nemmeno che albero sia. Forse un pino? Chissà! Le stagioni passavano, i campi diventavano dorati di grano maturo, poi terra brulla autunnale, poi spruzzati di neve e poi di nuovo verdi. Lui era sempre là, patriarca silenzioso a dominare e custodire la sua valle. Ed io ero sempre più stressato. Una mattina però mi resi conto che era finita. L’indomani scadevano i 18 mesi di contratto. Ce l’avevo fatta. Quell’albero mi aveva dato la forza di andare avanti e accumulare i soldi che mi servivano per il progetto con la mia famiglia. Sì, perché intanto avevo pensato nei dettagli ad un piano B che volevo attuare a tutti i costi.
L’albero è stato uno dei primi segnali che ho ricevuto, amore mio. Nonostante io non creda molto nelle casualità, queste si erano fatte così evidenti che non potevo ignorarle.
Tra le tante, per completare un vecchio articolo sul Grillaio (Falco naumanni) trovo per caso la pagina web di Nido Naumanni e scopro la Permacultura, seguendo un corso in questo magnifico centro pugliese, gestito da persone incredibili. Ri-contatto il mio insegnante di GIS per qualche consiglio e scopro che anche lui ha mollato tutto, aprendo un “Centro per la Consapevolezza” nelle campagne vicino casa mia. Finisco per puro caso a Pura Vita, il paradiso terrestre ricreato da due coraggiosissimi ragazzi sulle Madonie, i monti della provincia di Palermo. E mi viene ancora la pelle d’oca se penso a mio figlio che, a quattro mesi di vita, reagisce per la prima volta alla musica, strillando di gioia mentre la radio per caso passa una canzone di Ben Harper:
<<I
can change the world with my own two hands,
make a better place with my own two hands (Ben Harper)
Posso cambiare il mondo con le mie due mani,
creare un posto migliore con le mie due mani (Ben Harper) >>
Insomma, non potevo continuare a ignorare tutto ciò.

Contrariamente al bellissimo andamento che si sta verificando in massa nei trentenni italiani, io non ho stravolto la mia vita. Ho solo deciso di raddrizzarla. Di renderla più lenta e di chiedermi ogni mattina se quello che sto facendo mi rende felice e ha ricadute positive. Di non cercare più l’ennesimo bando, presentare l’ennesimo curriculum, sostenere l’ennesimo colloquio e lavorare a spizzichi e bocconi per un’altra manciata di mesi, chiedendomi alla fine cosa ho fatto di reale e concreto. Tutto ciò è mortificante.
No, voglio mettere in pratica AZIONI REALI E CONCRETE per me, la mia gente e la mia terra, quella in cui ho deciso a tutti i costi di restare. Voglio che queste azioni siano piccole e continuative nel tempo, che abbiano ricadute positive sul prossimo, creando un effetto a cascata di energie positive e di sorrisi.
Mi sembra assurdo che io e mio figlio passiamo le mattine al parco giochi completamente da soli, perché tutti gli adulti sono stipati in ufficio e tutti i bimbi sono segregati al nido. Mi fa ridere che i commercianti mi guardino con commiserazione perché sono un adulto con bimbo che va a fare la spesa in orari di lavoro (e quindi sono per forza un disoccupato!).

In questi mesi ho fatto un sacco di cose bellissime. Ho gettato le prime basi per l’autosufficienza alimentare della mia famiglia, ho organizzato giornate di scambio semi in cui abbracci, sorrisi e biodiversità si respiravano proprio, ho contribuito ad azioni di recupero del territorio che hanno coinvolto centinaia di persone senza l’ombra di un bando o di un progettista, ho fatto il bagno a mare a Febbraio, ho parlato di Permacultura a platee ricettive, ho conosciuto un sacco di gente nuova, intessuto nuove amicizie, mi sono riappropriato del mio tempo.
Soprattutto, mi sono meravigliato della quantità di lavoro che è venuta a bussare direttamente alla mia porta, senza che io lo avessi minimamente cercato. E della quantità di tempo che ho buttato prima, preoccupandomi di cose che nemmeno esistevano.

Albero mio, non finirò mai di ringraziarti!
Il vostro caro Totò.
P.S. so che vi state chiedendo come ho fatto a fare la foto della copertina se non sono mai andato a vedere l’albero protagonista di questo articolo. Ebbene, sappiate che questo è un altro albero, protagonista di un’altra avventura

Salvatore Bondì
Naturalista, specializzato in Biodiversità ed Evoluzione.
Ornitologo. Permacultore. Bighellone per necessità.
Energia positiva e sorrisi! Bravo Totò!
Bellissimo articolo! Ispira molto e traspira saggezza 😉
É scritto un po’ “di pancia”, ma rappresenta bene questo forte momento di transizione che sto vivendo…