Provate per un attimo ad immaginarvi di fronte ad una cucciolata di scodinzolanti cagnolini. Le zampette corte, l’andatura dinoccolata, i corpi paffuti accompagnati da un visetto tondo e occhi molto grandi, innescherebbero immediatamente la vostra reazione da “ke-kkariiiiniiiii!!!”. Di contro loro vi correrebbero addosso festosi e desiderosi di attenzioni. Se la cucciolata fosse invece di lupacchiotti, la vostra reazione sarebbe pressoché identica, ma alla vostra prima mossa inneschereste reazioni spropositate di panico, fughe precipitose, ringhi e (se messi alle strette) anche qualche morso.
Quando molti amanti della natura entrano in contatto con animali selvatici, non mettono in conto una sostanziale differenza tra il mondo selvatico e lo spicchio di mondo che abbiamo addomesticato negli ultimi 15000 anni: la docilità.
Già alla fine dell’800, Charles Darwin aveva notato delle caratteristiche comuni a tutte le specie addomesticate dall’uomo, sopratutto tra i mammiferi. Le aveva annotate in “The variation of animals and plants under domestication“, nel 1868:
- mansuetudine,
- depigmentazione,
- orecchie pendule o di dimensioni ridotte,
- muso più corto,
- comportamenti infantili,
- spesso anche coda arricciata e ciclo riproduttivo più esteso.

Darwin aveva avuto l’ennesima intuizione esatta, ma non era arrivato a conclusioni soddisfacenti, essendoci ancora parecchi vuoti da colmare nella conoscenza scientifica della genetica.
Dobbiamo aspettare il 1959, e spostarci nell’Unione Sovietica, con Dmitry Belyaev.
Genetista mendeliano, riprese l’intuizione di Darwin con un semplice esperimento: dai numerosi allevamenti sovietici di volpi da pelliccia, selezionò 130 esemplari che si manifestavano meno timorosi e più propensi verso l’uomo. Ad ogni cucciolata venivano divisi i cuccioli in 3 categorie, in base alla docilità che presentavano. Soltanto i cuccioli che mostravano un sincero affetto verso gli sperimentatori venivano allevati e fatti accoppiare, selezionando così come unico fattore la docilità degli animali. Nel giro di 50 anni, in sole 40 generazioni, Belyaev ottenne una linea selettiva completamente diversa dai progenitori. Da volpi argentate dal comportamento selvatico a volpi completamente mansuete e che per di più avevano cominciato a manifestare pezzature bianche, orecchie pendule anche in età adulta, code arricciate.
Ma nemmeno il genetista russo riuscì a collegare gli evidenti cambiamenti fenotipici (di aspetto) con la docilità e l’addomesticamento. Mancava ancora un passaggio….

Soltanto nel 2014, un articolo scientifico con genetisti provenienti da Sud-Africa e Austria ha messo in luce un’evidenza lampante: i livelli di adrenalina negli animali selvatici sono molto più elevati rispetto ai domestici. L’adrenalina inoltre sembra avere un collegamento con la produzione di melanina, che controlla il pigmento della pelliccia.
L’adrenalina viene prodotta principalmente dalle ghiandole surrenali, che si presentano di dimensioni ridotte e meno funzionali in tutte le specie sottoposte a domesticazione. Questo è dovuto al fatto che l’uomo ha involontariamente selezionato tutti quegli esemplari che, per mutazione spontanea, tendevano ad avere a livello embrionale, un minor numero di cellule della cresta neurale. Queste cellule, durante la formazione dell’embrione, migrano in varie parti del corpo regolando l’ossificazione delle ossa facciali, l’accumulo di cartilagine nelle estremità corporee (quali le orecchie) e la formazione delle ghiandole surrenali, che generano un deficit di adrenalina, creando docilità e macchie bianche.
Un minor numero di cellule della cresta neurale quindi provoca la cosiddetta sindrome da addomesticamento, che rende gli animali più docili e con tutta quella serie di caratteri corporei che amiamo nei nostri animali domestici!
Il vostro caro Totò
Per maggior info:
L’uomo e la domesticazione
Darwin, 1868
L’esperimento di Belyaev

Salvatore Bondì
Naturalista, specializzato in Biodiversità ed Evoluzione.
Ornitologo. Permacultore. Bighellone per necessità.