E’ successo stamattina. Ho deciso di fare una passeggiata attorno casa per andare a cercare le prime fioriture di Himantoglossum robertianum, una delle poche orchidee che in Sicilia fiorisce in pieno inverno. Un appuntamento puntuale a cui prendo parte ogni anno, un altro ciclo che si conclude (o che re-inizia?).
E così mi inerpico verso i monti sovrastanti. Superati gli ultimi uliveti si arriva ai piedi di un versante scosceso, ripidissimo, con una vegetazione che a prima vista potrebbe sembrare banale e costituita da qualche ciuffo di erba secca qua e la. E’ un posto in cui vengo spesso, che conosco quasi palmo a palmo e che negli anni mi ha riservato continue sorprese. Un luogo dietro casa, insomma, dove mettere in pratica molti dei miei studi, specie quelli riguardanti la botanica
Lungo il sentiero che percorro mi accorgo di quanto sia bello e colorato il prato che mi si para davanti, in piena fioritura invernale. Ah Sicilia, che terra meravigliosa sei, capace di regalarci splendidi paesaggi anche in pieno “rigore” invernale. A farla da padrone è la Calendula arvensis, con i suoi tenui arancioni (foto 1). Qua e la invece spunta qualche Bellis perennis, margherita dei prati autunnali ed invernali (foto 2), mentre nelle spaccature della roccia o ai margini ghiaiosi del sentiero sono nati ciuffi di Lobularia maritima (foto 3 e 4) dal delicato odore di miele e Linaria reflexa (foto 5 e 6), una parente del Bocca di Leone.
Ma il fiore indubbiamente più bello e rappresentativo dell’inverno è lui, Iris planifolia, che oggi troverò praticamente ovunque, dalla base del sentiero fino in cima alla scarpata, a volte anche nel raro morfismo bianco
Non appena comincio la difficile salita lungo la scarpata vengo fermato da un vicino, un arzillo vecchietto che sta potando i suoi floridi olivi “Lingua di Passero”. Alla domanda “che fai?” rispondo che sono alla ricerca di asparagi, dato che sarebbe troppo arduo spiegargli che in realtà sto bighellonando in giro perdendo una mattinata a fotografare fiorellini (lui non lo sà, ma io in realtà sono il Re dei bighelloni!!!). Mi risponde che, anche se è ancora presto, li troverò sicuramente, perchè nessuno si avventura in questa MACCHIA
Così mentre mi inerpico come una allegra capretta con macchina fotografica al seguito, ragiono su quella parola che mi è rimasta a ronzare in testa. Macchia. Non avevo mai fatto caso a quanto fosse usata impropriamente. Si sente parlare di Macchia Mediterranea praticamente ovunque, spesso indicando però vegetazioni che dalla macchia mediterranea sono distanti anni luce. Se nel gergo comune la macchia è una zona cespugliosa dove è difficile addentrarsi, in botanica può assumere diversi significati. E in qualcuno dei significati meno noti dobbiamo fare ricorso alla sintassonomia , ovvero alla vera e propria arte magica di classificare la vegetazione in base ad associazioni di piante che risultano più o meno sempre uguali e che ritroviamo sempre insieme. In parole povere organizziamo la vegetazione in associazioni che partono dalle piante pioniere, poi le praterie, passando per garighe, macchie, boscaglia e infine foresta primaria, che rappresenta l’apice della serie vegetazionale ed è chiamato climax. L’azione distruttiva dell’uomo degrada la vegetazione facendola retrocedere un gradino alla volta. Se lasciate indisturbata invece, tutti i gradini della serie tendono al climax (in tempi molto lunghi, ovvio!), che può essere una foresta in zone di media altitudine come questa, o fermarsi alla macchia mediterranea se molto vicini alle coste.
Per la prima volta guardo la vegetazione di questo luogo con occhio diverso… …e questa in cui mi trovo non è assolutamente una macchia!
Se riesco a camminare tranquillamente in mezzo alla vegetazione, vedo parti di suolo nudo, non coperto da cespugli, e quest’ultimi mi arrivano appena al ginocchio, escludo di essere in mezzo alla macchia. Sto attraversando in realtà una gariga, ovvero un gradino della serie che si trova appena sotto la macchia, e infatti viene spesso chiamata macchia degradata. In questo caso la gariga è così degradata che appaiono anche specie da prateria, come l‘Ampelodesma mauritanica, una graminacea perenne che colora di ciuffi verde pallido la foto di cui sopra
Il bello della sintassonomia è che posso capire, dalle piante che ho attorno, non solo in che gradino della successione sono, ma anche verso cosa può evolvere la vegetazione se lasciata indisturbata. In questo caso gioco facile, perchè essendo in Sicilia, ad altitudini di circa 500 m slm potrei essere solo in bosco di querce, ormai distrutto. Ma quali querce? Comincio a guardarmi attorno…
…un mare di Cistus salvifolia (foto 1 e 2) e sopratutto di Erica multiflora (foto 3 e 4) che per ora è in piena fioritura e ammanta tutto di un bel rosa tenue
Se fossero presenti Erica arborea e cisto mi dovrebbero portare verso un futuro bosco di Sughera (Quercus suber), ma la cosa non può funzionare perchè il suolo su cui cammino è prettamente carbonatico, mentre la Sughera richiede terreni basici. Erica multiflora poi mi indirizza verso tutt’altre formazioni arboree. E poi trovo anche un sacco di altre specie che mi indicano invece l’evoluzione verso un bosco di Leccio (Quercus ilex), come questo Lentisco (Pistacea lentiscus)
E infatti dopo un po trovo un bel leccio, piccolo, isolato e completamente divorato dal fuoco. Solo qualche nuovo rametto fa sperare in una nuova, lentissima, ricolonizzazione da parte di questa pianta. E’ proprio il fuoco a creare tutto questo scompiglio nella vegetazione. Gli incendi, appiccati quasi ogni anno, non permettono ai cespugli di crescere e favoriscono solo alcune piante pirofile (adattate al fuoco) che qui la fanno da padrone appunto, come l’Erica o il Cisto.
E’ quindi una zona banalizzata dalle attività umane, come incendi continui e una certa noncuranza nella riqualificazione, ma non di certo una zona poco interessante a livello naturalistico. Qui fiorisce infatti il Rhaponticum coniferum, una specie di fiordaliso abbastanza raro e di zone molto aride, color grigio cenere e che sboccia in una infiorescenza simile ad una pigna e molto secca al tatto, quasi come carta velina (qui la pianta in fioritura lo scorso Maggio)
E con una bellissima “ginestra”, la Hippocrepis emerus, tipica delle garighe colonizzate dall’Ampelodesma concludo questo articolo, chiarendo che non tutte le piante possono indicarci le associazioni e in cosa progredirà la vegetazione, ma ognuna può raccontarci qualcosa dell’ambiente che ci circonda, di se stessa, o della nostra percezione per la Natura
P.S. ovviamente alla fine le orchidee le ho trovate 😉
Ringrazio tantissimo l’amico Fofò (Alfonso La Rosa) per avermi aiutato negli anni con le identificazioni delle piante, grazie anche alla sua pagina fb Flora Spontanea Siciliana
Il vostro caro Totò!

Salvatore Bondì
Naturalista, specializzato in Biodiversità ed Evoluzione.
Ornitologo. Permacultore. Bighellone per necessità.
Buongiorno e complimenti per il blog, molto interessante ed esaustivo. Sarebbe in grado di dirmi qual è il climax della costa sabbiosa iblea? Ho un terreno sabbioso a Ispica a 100 metri dal mare dove vorrei piantare essenze arboree e arbustive. Quali mi consiglia?
Ciao!
Rispondere a questa domanda non è semplice in quanto bisogna capire cosa vuoi ottenere. Se vuoi usare essenze autoctone (da preferire sempre!) o meno, se vuoi piante che producano frutti o semplicemente rinverdire un angolo.
Ti consiglio a tal proposito un ottimo libro: “Il giardino che vorrei” di Pia Pera. Lo trovi facilmente acquistabile sul web. Tratta nove tipologie di giardino, tra cui quello sabbioso, correlate da una completa lista di piante adatte a quell’ambiente. Penso non troverai nulla di più completo.
Puoi anche fare una veloce ricerca google (specie arboree arbustive coste sabbiose sicilia) che troverai immediatamente almeno 3 pdf dai siti della regione.
Grazie per essere passato di qui!